Lezione 10 - Newton 1: Vita e opere.
Classi 4°A/B/C Linguistico - Lez. 10
Newton: vita e opere.
Nasce a Grantham, nella contea di Lincoln, il 25 Dicembre 1642, anno della morte di Galilei e in ciò si è voluto cogliere quasi un simbolo della continuità ideale tra i due pensatori, Newton porta a compimento la rivoluzione scientifica intrapresa da Galilei e da Keplero, definendo un sistema del mondo che costituirà il punto di riferimento essenziale per la fisica e la meccanica fino agli ultimi decenni dell'Ottocento.
Compiuti gli studi secondari a Grantham, Newton entra nel 1661 al Trinity College di Cambridge, dove studia il calcolo infinitesimale, mettendo a punto il metodo che denomina delle flussioni.
Nello stesso periodo elabora i fondamenti della teoria corpuscolare della luce che inizia ad esporre al Trinity College di Cambridge, dove dal 1669 viene chiamato ad insegnare matematica. La teoria corpuscolare della luce suscita aspre reazioni nell'ambiente scientifico, sopratutto da parte di Robert Hooke, sostenitore della teoria ondulatoria. Anche in seguito alla polemica con Hooke, Newton abbandona gli esperimenti sulla luce e riprende gli studi giovanili di meccanica, facendone nel 1680 il proprio interesse principale. Newton aveva già formulato la legge, secondo la quale la forza gravitazionale che si esercita tra due corpi é direttamente proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza, spiegando tra l'altro, con questo principio la forma ellittica delle orbite dei pianeti. I calcoli mediante i quali sottoporre alla prova la teoria della gravitazione sembrano però smentirla, fino a quando l'astronomo francese Jean Picard determina una nuova misura del raggio terrestre, che si rivelerà poi vicina a quella reale. Le nuove misure confermano i calcoli di Newton ed egli riprende a lavorare alla teoria gravitazionale descrivendo, a partire da questa, il moto dei pianeti e dando ragione delle apparenti irregolarità delle loro orbite.
L'importanza dell'opera di Newton consiste, oltre che nella formulazione della legge di gravitazione in quanto tale, anche se in qualche modo già anticipata da altri scienziati, nell'unificazione della fisica celeste con quella terrestre e nella costruzione di un sistema che, muovendo da pochi principi, offre una spiegazione unitaria delle leggi del movimento note, proponendo un'interpretazione globale di tutti i fenomeni meccanici.
La fama di Newton aumenta progressivamente, finché nel 1703 viene eletto presidente della Royal Society, carica che conserverà fino alla morte, esercitando un'influenza via via crescente sull'ambiente scientifico inglese. Nel 1699 inizia intanto la controversia con Leibniz sulla paternità del calcolo infinitesimale, alla quale tuttavia, in un primo momento, Newton non partecipa. Tale polemica riesplode violenta dopo la pubblicazione dell'Ottica nel 1704, concludendosi a favore dello scienziato inglese.
Dopo l'Ottica, Newton non scrive praticamente più di argomenti scientifici. Si dedica invece a ricerche e a scritti di contenuto religioso. Muore nel 1727.
L'indagine sulla luce e il metodo sperimentale.
Le prime ricerche di Newton riguardano l'ottica, uno dei campi di indagine privilegiati dalla nuova scienza. Questa centralità può essere spiegata da vari motivi: a partire da Galileo l'osservazione tramite strumenti ottici costituiva uno dei fondamenti della Fisica e di ottica si era occupato anche Cartesio, cercando di ricondurla ai principi generali del movimento e quindi alla meccanica. Ciò era possibile però solo se si assumeva come postulato l'assenza di vuoto, per cui la propagazione della luce poteva essere trattata allo stesso modo delle onde sonore.
Newton sostiene che la luce è costituita da corpuscoli solidi ed è proprio questa teoria a provocare reazioni negative da parte della Royal Society e in particolare di Robert Hooke, incaricato di controllare gli esperimenti di Newton e sostenitore della teoria ondulatoria. Hooke aveva sostenuto nella sua opera Micrographia del 1665 che i colori derivassero dalla rifrazione dei raggi luminosi, che sono per loro natura sempre bianchi, su diversi materiali. Newton rovescia questa teoria, giungendo alla conclusione che i diversi colori derivino da raggi con differente grado di rifrazione e quindi diversi l'uno dall'altro. Il colore bianco della luce dipende quindi dalla fusione di questi diversi raggi. Newton giunge a queste conclusioni in seguito a una serie di esperimenti sulla scomposizione della luce: in una stanza oscurata, egli pratica un piccolo foro nelle imposte in modo da far filtrare soltanto la quantità di luce desiderata; pone quindi un prisma di vetro dietro al foro, proiettando il raggio nella parete opposta e, sulla base delle leggi della rifrazione, lo spettro proiettato sulla parete avrebbe dovuto essere circolare; la sua forma effettiva era invece fortemente oblunga. In un successivo esperimento Newton dimostra che questa irregolarità dipende dal diverso grado di rifrazione dei raggi luminosi. La luce bianca è dunque composta da raggi distinti, ognuno dei quali ha un diverso grado di rifrazione dal quale dipende l'impressione cromatica che provoca sulla retina.
Questa caratteristica della luce dà luogo, tra l'altro, ad una aberrazione ineliminabile nei telescopi ottici perché, attraversando la lente, i diversi raggi si rifrangono con angolo differenziato, producendo una distorsione dell'immagine. Questo problema, già notato da altri, non poteva essere risolto col perfezionamento nella molatura delle lenti, come fino ad allora, essendone sconosciuta la causa, si era ritenuto. Newton riesce a superarlo con il telescopio a riflessione, dove la luce viene raccolta non da una lente, ma da uno specchio concavo di metallo che non produce alcuna aberrazione. Ma l'aspetto più importante della scoperta di Newton consiste nel considerare i colori non come qualità dei corpi, o comunque prodotti delle loro superfici irregolari come sino a quel momento si pensava, ma dalla luce.
Tale diversità è riconducibile all'angolo di rifrazione, diverso da colore a colore e costante per ogni colore, quindi a una caratteristica quantificabile e matematica. In questo modo, Newton opera una netta distinzione tra la fisiologia della percezione dei colori e la fisica dei colori stessi, che viene individuata dalla loro struttura matematica, concentrando la ricerca sulla fisica dei colori e non sulla loro percezione
Il metodo che Newton utilizza in queste prime ricerche sulla luce può essere definito matematico-sperimentale in cui le ipotesi esplicative vengono ricavate da una nutrita serie di esperimenti finalizzati a controllare le diverse variabili implicate (per esempio utilizzando condizioni di rifrazione e materiali diversi in modo da isolare le costanti presenti nei vari fenomeni).
Questo procedimento conduce a una quantificazione dei fenomeni, in questo caso i colori, per poterli trattare con il metodo matematico. Si tratta di un procedimento induttivo, già utilizzato da Bacone, ma che pone Newton sulla scia più di Galilei per l'esigenza di quantificare i fenomeni e di ricondurli a una formulazione matematica delle leggi, anche se con alcune differenze. La principale differenza è che per Galilei esistono fenomeni qualitativi e quantitativi e solo quelli quantitativi permettono il raggiungimento di una conoscenza scientifica: il movimento, la forma, le dimensioni sono fenomeni quantificabili, mentre i colori e gli odori no. Così mentre i primi possono essere studiati in modo scientifico, i secondi sono soggettivi.
Newton distingue, invece, tra i fenomeni e le sostanze: i fenomeni sono scientifici nella misura in cui vengano trattati in modo quantitativo, e questo é un problema di metodo e é dato dalla natura degli stessi fenomeni. I colori sono qualitativi dal punto di vista percettivo, ma sono quantificabili se ricondotti alla diversità dell'angolo di rifrazione, che è appunto misurabile. Newton distingue nettamente i due piani, quello fisico e quello sensoriale - percettivo, non sulla base della tipologia di fenomeni, ma nel modo di trattarli. In ogni fenomeno sono presenti entrambi gli aspetti, è necessario però trovare il modo di determinare quello fisico, individuando la variazione qualitativa responsabile del cambiamento dell'apparenza sensoriale: le sostanze, le cause ultime, la metafisica in generale, sono, come già per Galilei, non sono conoscibili dal punto di vista scientifico perché non possono essere controllate sulla base di esperimenti né, ovviamente, si possono trattare in modo scientifico.
Il metodo induttivo o induzione/deduzione.
Per Bacone il metodo scientifico è induttivo, cioè parte dal particolare, le osservazioni, per giungere all'universale, cioè alla formulazione di leggi. Newton segue questo procedimento, proponendo anche una soluzione al problema dell'induzione, cioè alla legittimità di passare da un numero finito di osservazioni a delle proposizioni generali. A tale proposito Newton suggerisce alcune regole che autorizzano questa operazione, completando il metodo della scienza moderna e sottolineando l'importanza del procedimento deduttivo quale momento successivo. Se le leggi sono corrette, da esse devono poter essere dedotti tutti i fenomeni che ricadono nel loro ambito. Newton muove quindi dall'osservazione e dagli esperimenti, giungendo alla formulazione di leggi e deduce dalle leggi fondamentali la spiegazione dell'intero dominio della fisica e del moto. Newton presuppone in altri termini che le leggi individuate per via induttiva costituiscano un sistema esaustivo per la spiegazione dei fenomeni che, attraverso il procedimento deduttivo, risultano unificati. Dedurre i fenomeni dalle leggi generali significa inoltre spiegarli e dimostrarne la necessità: se infatti possono essere dedotti, non é possibile immaginare che siano diversi da come sono e, allo stesso tempo, le leggi da cui li deduciamo ne costituiscono la spiegazione. Per questi motivi il metodo della scienza moderna, formulato da Newton in modo completo, viene definito induttivo - deduttivo, anche se il fondamento della conoscenza rimane comunque di natura induttiva.
Quindi il metodo della scienza è per Newton quello induttivo, già teorizzato da Bacone, anche se presenta il problema importante che verrà più tardi sottolineato da Hume: muovendo da un numero limitato di osservazioni, non è possibile la formulazione di proposizioni sicuramente vere, ma al massimo solo probabili. Da queste non possono derivare quindi leggi universali e necessarie. Newton riconosce l'esistenza di un problema, ma ne rifiuta i limiti che ne sarebbero la conseguenza: anche se il metodo induttivo non può produrre verità scientifiche indiscutibili, tale metodo è per Newton l'unico utilizzabile e bisogna quindi assegnare al metodo induttivo una funzione conoscitiva. Egli ritiene di poter superare i problemi dell'induzione, formulando alcune regole che sono condizioni essenziali per garantire la possibilità stessa di una conoscenza scientifica. Nel suo libro III dei Principia, espone le sue quattro Regole del filosofare:
la prima regola afferma la semplicità della natura per cui se viene individuata una causa non dobbiamo cercarne altre, in questo modo si elimina la possibilità di spiegazioni metafisiche dei fenomeni dei quali conosciamo la causa fisica;
la seconda regola riguarda l'uniformità della natura e sostiene che effetti simili sono prodotti dalle stesse cause, consentendo così la generalizzazione del nesso causale;
la terza regola afferma l'omogeneità della natura, per cui le proprietà invarianti sono generalizzabili a tutti i corpi. Newton afferma cioè che la natura è regolare e si comporta sempre allo stesso modo e che la materia possiede alcune qualità universali;
la quarta regola, infine, stabilisce che le proposizioni ricavate dai fenomeni mediante il procedimento induttivo possono essere smentite solo da fenomeni contrari e non da ipotesi astratte.
Sulla base di queste regole la generalizzazione oggettiva diventa legittima, anche se tutt'altro che dimostrata, in quanto è basata su regole e non su delle dimostrazioni.
Ipotesi scientifiche e ipotesi metafisiche.
La critica di Newton alle ipotesi contenuta nella quarta regola rimane un aspetto ancora controverso del metodo newtoniano, in quanto ogni generalizzazione dei dati ricavati da esperimenti, e la conseguente formulazione di leggi generali, deve essere considerata come un'ipotesi. Nella prima edizione dei Principi, quella del 1687, le Regole del filosofare non avevano questo nome, né la formulazione presentata sopra. Al loro posto Newton aveva presentato delle ipotesi, intese quali presupposti non dimostrati, anche se plausibili, che venivano assunti come fondamenti del suo sistema. Ma nella stesura definitiva dei Principi il termine ipotesi viene usato da Newton anche per indicare le teorie che non sono fondate in modo induttivo sui fenomeni e, per questo motivo, prive di qualsiasi valore scientifico. Ad esempio quando Newton parla della forza di gravità, egli dice che è possibile descriverla e individuarne la legge che ne spiega il comportamento, ma che non si può ricavare dai fenomeni la natura di questa forza. In un famoso brano lo stesso Newton afferma di non essere riuscito a dedurre dai fenomeni le proprietà della forza di gravità e di non inventare ipotesi, cioè spiegazioni non immediatamente deducibili dai fenomeni. Tutto ciò che non risulta quindi immediatamente deducibile dai fenomeni viene definita ipotesi e nella filosofia sperimentale non sono ammissibili ipotesi fisiche o metafisiche, meccaniche o di altra natura. Secondo Newton nella filosofia sperimentale le proposizioni devono essere dedotte dai fenomeni e diventano quindi leggi generali attraverso l'induzione. Il rifiuto delle ipotesi in Newton ha come presupposto la definizione di scienza sperimentale: gli esperimenti non sono delle semplici osservazioni ma, come già avevano affermato Bacone e Galileo, rappresentano modalità di interrogare la natura per costringerla a dare delle risposte. Gli esperimenti in tal modo riguardano il comportamento della natura, producono dei fatti e indicano come agiscono le forze, ma non sono in grado di rivelare la natura dei corpi o di tali forze.
Newton rinuncia alla pretesa, che era stata di Bacone, di conoscere la forma delle cose, il loro processo o schematismo latente, per abbracciare la prospettiva di Galileo, scegliendo di occuparsi soltanto di quantità e di variazioni misurabili degli aspetti quantitativi. Quindi ciò che l'uomo può conoscere è il modo di agire delle forze della natura e non la loro essenza: quindi per Newton non è importante sapere cosa sia la gravità, ma come essa agisce. Questo non vuol dire che la scienza dipenda in modo totale dai fenomeni visto che la legge di gravitazione e quella del moto sono leggi di natura e non modi soggettivi di concepirla. Questi aspetti, a differenza della natura dei corpi, possono essere però osservati e sottoposti ad esperimenti. Questa possibilità é secondo Newton il criterio che separa l'ambito della conoscenza scientifica da quello delle ipotesi. Mentre le teorie ricavate per induzione da esperimenti sono scientificamente fondate, secondo quanto afferma la quarta regola, e possono quindi essere discusse o confutate, sulla base di altri esperimenti, quelle che non derivano dall'induzione sono estranee alla conoscenza scientifica e vengono quindi considerate ipotesi.
L'indagine matematica della natura.
Newton, partendo dalla prospettiva di Galilei secondo cui è possibile trattare in modo scientifico solo ciò che è quantificabile e può quindi essere espresso in termini matematici, definisce come appartenente alla fisica solo che risulta traducibile in termini matematici e quantitativi. La stessa gravitazione viene definita come una forza direttamente proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza e la formula che esprime questi valori rappresenta tutto ciò che, in ambito scientifico, della gravitazione può essere detto. Il carattere matematico dei Principi si rifà al metodo degli Elementi di geometria di Euclide. In tutto il Seicento filosofi come Cartesio, Hobbes e Spinoza, così come lo stesso Newton, considerano il metodo geometrico come il fondamento della conoscenza: se Newton aveva individuato i principi della fisica con il metodo induttivo-sperimentale, rimaneva ancora da risolvere come a un momento induttivo che risaliva dagli esperimenti alle leggi, dovesse aggiungersi il momento deduttivo e la spiegazione dei vari fatti empirici. Newton dichiara in modo esplicito di non voler occuparsi dei fenomeni empirici, ma soltanto dei puri rapporti matematici che è possibile stabilire tra le diverse variabili delle leggi del movimento: il procedimento è deduttivo, le dimostrazioni sono di tipo matematico. Soltanto nel terzo libro dei Principi Newton deduce proposizioni relative all'aspetto empirico, cioè legato all'esperienza, e riferite in particolare al movimento dei corpi celesti. I Principi matematici presentano dunque una costruzione deduttiva: Newton presenta gli assiomi e le definizioni a cui ë giunto sulla base di osservazioni ed esperimenti, cioè in modo induttivo. Egli sostiene che le leggi individuate per via induttiva costituiscano un sistema adeguato per spiegare i fenomeni che vengono poi unificati con il procedimento deduttivo. Secondo Newton poter dedurre i fenomeni dalle leggi generali significa spiegare i fenomeni stessi e dimostrarne la necessità: se infatti possono essere dedotti, non è allora possibile immaginarli diversi da come sono e le leggi da cui li deduciamo ne costituiscono l'unica spiegazione. Per questi motivi il metodo della scienza moderna, formulato da Newton, viene chiamato induttivo-deduttivo, anche se il fondamento della conoscenza rimane induttivo. Tra le definizioni ha particolare importanza il concetto di massa che sostituisce l'identificazione della materia con l'estensione, formulata da Cartesio, e la nozione generica di corpo, utilizzata anche da Galilei, che la congiungeva al peso, rimanendo nell'ambito di una fisica dei gravi che avrebbe impedito l'unificazione dei fenomeni terrestri con quelli astronomici. La massa viene definita da Newton come la misura della quantità di materia ricavata dal prodotto della densità per il volume. In questo modo il concetto di massa viene completamente distinto da quello di peso che viene a dipendere dall'azione della forza di gravità sulla massa. In termini fisici, la definizione di Newton non è però rigorosa, anche se aver ricondotto la massa alla quantità di materia, separandola dal concetto di peso, rappresenta comunque per l'epoca un passo decisivo verso la nuova fisica. Da assiomi e definizioni Newton ricava le leggi fondamentali del moto che vengono applicate sia alla fisica celeste, che a quella terrestre. In questo modo Newton offre una sistemazione della meccanica moderna che rimarrà invariata nelle sue linee fondamentali fino alla fine dell'Ottocento. Le leggi già individuate da Galilei e Cartesio, e gli stessi principi di Keplero, vengono dedotti da assiomi e da definizioni, delineando un sistema profondamente coerente in grado di interpretare in modo unitario i vari fenomeni particolari.
La prima legge è quella di inerzia, già intuita da Galilei e formalizzata da Cartesio, secondo cui ogni corpo tende a mantenere il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a mutare tale stato. La seconda, già formulata da Galilei, riguarda la composizione del movimento, secondo cui il cambiamento di moto risulta essere proporzionale alla forza motrice impressa ed avviene lungo una linea retta nella direzione della forza impressa; solo la terza legge, quella di azione e reazione, viene formulata per la prima volta da Newton ed afferma che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, cioè che le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte. Da queste leggi e dalle varie definizioni, Newton deduce corollari e teoremi che coprono interamente la spiegazione di ogni movimento sia celeste, che terrestre.
Il tempo e lo spazio nella fisica di Newton.
Newton, oltre ad introdurre nuovi concetti come quello di massa, definisce in modo rigoroso alcune nozioni di uso comune come quelle di spazio e di tempo che vengono da lui rielaborati come spazio e tempo assoluti, che saranno più tardi oggetto di contestazione da parte della fisica della relatività. Nel modello di Newton lo spazio assoluto e il tempo assoluto svolgono un ruolo essenziale: lo stato normale del mondo, quello che non richiede di essere spiegato sulla base di altri fattori, é inerziale ed euclideo, mentre ogni volta che interviene una forza a modificare tale stato, tale cambiamento richiede una spiegazione fisica; in assenza di cambiamenti, secondo Newton non vi sono delle forze che agiscono e il tempo e lo spazio assoluti corrispondono a questo stato. Per esempio il moto rettilineo uniforme, nella prima legge di movimento, presuppone la totale assenza di accelerazioni e dunque il riferimento ad uno spazio immobile e ad un tempo costante. Riprendendo l'esempio della nave in movimento di Galileo, Newton afferma che un corpo immobile in una nave in movimento risulta essere fermo rispetto alla nave, ma si sposta con la nave nello spazio assoluto, sarebbe veramente fermo se il corpo non si muovesse rispetto allo spazio assoluto: Newton immagina lo spazio assoluto come lo sfondo immobile dell'universo a cui si deve fare riferimento per misurare tutti i moti relativi. Allo stesso modo, il tempo assoluto è lo scorrere uniforme del tempo, in relazione a cui misuriamo le diverse durate. Poiché lo spazio e il tempo assoluti non possono essere oggetto di osservazione in quanto tutte le nostre misurazioni si rifanno a tempi e spazi relativi, non possono essere ricavati dall'esperienza mediante un procedimento induttivo, ma secondo Newton devono essere assunti come postulati del sistema del mondo. Newton introduce così concetti non dimostrabili sulla base dei criteri metodologici da lui stesso introdotti che saranno poi criticati nell'Ottocento da Mach e superati dalla teoria della relatività di Einstein.
La gravitazione e il sistema del mondo.
Il terzo libro dei Principia mostra l'applicazione delle leggi alla descrizione del sistema solare e più in generale dell'universo. Uno degli aspetti più importanti della teoria di Newton è l'unificazione della fisica terrestre e di quella celeste, sottoposte entrambe alle stesse leggi. Prima, infatti, Newton stabilisce i principi generali a prescindere da riferimenti ad ambiti specifici cioè, come recita il titolo, su base esclusivamente matematica, e solo in un secondo momento ne mostra le applicazioni all'astronomia.
Nel primo libro Newton aveva dato un fondamento dimostrativo al principio secondo il quale la forza centripeta è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Nello stesso luogo aveva derivato dalle leggi del moto e da quelle di Keplero le caratteristiche delle orbite intorno ai corpi, giungendo alla conclusione che dovevano essere ellittiche. Le intuizioni di Keplero trovavano così una dimostrazione partendo dai principi generali della meccanica e non più soltanto da una base osservativa. Tali leggi risultavano applicabili a qualsiasi forma di moto, anche a quelli terrestri, unificando così la meccanica, senza distinzioni tra meccanica celeste e terrestre.
Dalla descrizione di alcuni fenomeni che assume come base per l'applicazione dei principi della meccanica, Newton enuncia, attraverso una serie di proposizioni, la legge di gravitazione universale, secondo la quale due corpi si attraggono con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Dalla legge gravitazionale Newton deriva alcune importanti conseguenze: la forza di attrazione che ogni pianeta esercita sulle sue parti è proporzionale alla massa, per cui il peso di un oggetto di uguale massa cambia sulla superficie dei diversi pianeti. La fisica supera così con Newton il concetto di peso come valore assoluto, ancora presente nella fisica di Galileo, e le sue leggi vengono ridefinite in funzione della quantità di materia, cioè della massa. Inoltre diventa possibile, conoscendo l'orbita dei pianeti e quindi il rapporto tra tra la forza gravitazionale verso il sole e la forza centrifuga, calcolarne la massa e la densità. Infine, l'attrazione gravitazionale si esercita, in rapporto diretto rispetto alle masse e inverso rispetto al quadrato della distanza, anche tra i singoli corpi del sistema solare. Questa osservazione consente a Newton di spiegare l'irregolarità nel moto di alcuni pianeti rispetto a orbite ellittiche non perturbate. La gravitazione universale consente a Newton di spiegare anche le maree mediante l'attrazione lunare, riconducendo a un ambito scientifico quell'azione a distanza che Galileo aveva negato, in polemica con Keplero, considerandola un residuo del pensiero rinascimentale.