Lezione 5 - Erasmo, Lutero, Calvino e la Riforma.
Classi 4°A/B/C Linguistico - Lez. 5
Il rinnovamento religioso e la Riforma protestante: Introduzione.
Le feroci dispute religiose, che raggiungono il loro culmine con la Riforma protestante, segnano un altro importante aspetto del movimento di rinnovamento tipico dell'Umanesimo e del Rinascimento.
Tali «guerre di religione», se da un lato mascherano, e a volte generano esse stesse, importanti conflitti sociali all'interno di un'epoca di grandi contraddizioni, dall'altro portano avanti l'esigenza, tipicamente umanistica, di fondare l'idea di un nuovo modello di uomo, non più succube dell'influenza religiosa, ma capace di autodeterminarsi e di vivere la propria esperienza religiosa in modo personale e autonomo, svincolato dalle ingerenze indebite da parte della gerarchia ecclesiastica e dell'Inquisizione.
Tali contraddizioni si manifestano anche sul nuovo sapere che viene via via configurandosi: da un lato si dà la massima attenzione all'indagine della natura e all'osservazione rigorosa dei suoi fenomeni, dall'altro si sviluppa un interesse evidente per la magia e le scienze occulte.
L'uomo rinascimentale, che pretende risposte chiare e definitive circa il significato della propria esistenza e di quella del mondo, non esita a ricercarle in ogni aspetto del reale, senza nutrire alcun tipo di pregiudizio circa la validità delle risposte che può trovare.
La spinta al rinnovamento morale e dei costumi non rappresentava dunque soltanto l'esigenza di ritornare al cristianesimo evangelico delle origini, ma evidenziava, all'interno della stessa gerarchia ecclesiastica, il bisogno fortemente sentito di una svolta religiosa significativa: l'esigenza, fortemente sentita che l'esperienza religiosa, cristianesimo compreso, rappresenti un'esperienza privata e personale, basata su una libera lettura ed interpretazione delle Sacre Scritture, e non su atti di culto solo esteriori, accettati in modo acritico e formale, espressione non di una libera adesione personale, ma di una obbedienza sterile e forzata; la critica agli abusi perpetrati dal potere ecclesiastico e la compravendita delle cariche ecclesiastiche, ree queste di non costituire un modello di vita cristiana virtuosa e sapiente per i propri fedeli; nonché la svalutazione e la mercificazione che la Chiesa opera dei vari Sacramenti; tutto ciò viene avvertito, non soltanto dai protestanti, ma dagli stessi fedeli cristiani, come una necessità impellente e irrinunciabile verso un rinnovamento religioso che, partendo dall'interno della Chiesa stessa, debba poi espandersi sui fedeli e su coloro che professano fedi religiose diverse.
L'intransigenza con cui tali richieste verranno poste dai movimenti riformisti renderanno tale malessere più evidente e costringeranno la gerarchia ecclesiastica sia a mettere in atto forti rappresaglie allo scopo di sedare la protesta, che a rivedere le posizioni più estreme e intransigenti, assunte nel corso del tempo sia in materia di dottrina, che di costumi di vita propri del clero. È proprio in risposta a tali esigenze che si svilupperanno da una parte la Riforma con i suoi diversi esponenti, dall'altra la Controriforma cattolica, ed entrambi i movimenti, pur nelle loro differenze di intenti e di pensiero, si faranno portavoce di queste esigenze.
L'Umanesimo di Erasmo.
Uno dei più importanti interpreti dell'esigenza di un forte rinnovamento religioso, è Erasmo Desiderio, meglio conosciuto come Erasmo da Rotterdam, la sua città natale (1466-1536).
Nella sua prima opera, intitolata Il manuale del soldato cristiano, del 1502, afferma la necessità di una religione vissuta, che riprende l'impostazione ideologica dell'«imitatio Christi» o Imitazione di Cristo, un'opera che si era via via diffusa sin dal Trecento e che ben si conciliava con l'esigenza di rinnovamento spirituale, fortemente sentita nell'Umanesimo. L'Imitazione di Cristo, che risultava essere uno scritto di forte ispirazione agostiniana, affermava il bisogno di una ricerca personale e interiore di Dio da effettuarsi mediante la lettura diretta della Bibbia e sopratutto del Vangelo. Attraverso questo metodo il cristiano raggiunge l'incontro con Cristo e deve operare dei cambiamenti significativi nella propria persona e nella propria vita, rinnovandosi ad imitazione di Cristo. Per Erasmo, quindi, il cristianesimo non rappresenta un vuoto e formale insieme di dogmi e di riti, ma la fede testimoniata quotidianamente e in modo concreto nella propria vita. Ciò rende necessario che anche coloro che sono sprovvisti di preparazione culturale, gli umili come lui li chiama, possano accedere all'esperienza religiosa senza alcuna difficoltà, in quanto egli sostiene che la fede religiosa deve concretizzarsi nell'ambito morale dell'uomo e non nella semplice conoscenza dottrinale. Nella sua opera più famosa, l'Elogio della pazzia del 1511, Erasmo conduce una dura critica al cristianesimo ufficiale, alla teologia e alla filosofia scolastica di epoca medievale, affermando che il centro del cristianesimo debbono essere la carità e la «pazzia della croce».
In quest'opera Erasmo rivolge una critica ironica e feroce alla pretesa «ragionevolezza» del cristianesimo formale ed ufficiale, che attribuisce una notevole rilevanza ai riti e ai dogmi, e che può tranquillamente adattarsi ad ogni esigenza mondana e a ogni stile di vita.
A tale concezione del cristianesimo, Erasmo contrappone la proposta di un cristianesimo che deve coinvolgere completamente la vita di un individuo, che lo costringa a superare il proprio egoismo e gli atteggiamenti di eccessiva prudenza, onde seguire invece la «follia» della croce, una follia dominante e pervasiva della vita, simile alla tensione spirituale ed esistenziale dell'eros platonico.
Nell'Eligio Erasmo critica in modo ironico la «stultitia», la stoltezza o stupidità, degli uomini ricchi e potenti, dei nobili e dell'alto clero, mentre esalta la «pazzia» di avventurieri, esploratori e dei nuovi «scienziati» che, rinunciando ad una esistenza quieta e tranquilla, dedicano il loro tempo e le loro energie nel conoscere la natura. Erasmo, inoltre, elogia coloro che abbandonano beni e certezze in nome della fede, fino a raggiungere la «pazzia» suprema, cioè quella «follia della croce» che spinse Cristo stesso a farsi uomo e morire per amore dell'uomo per redimerlo dal peccato.
La Riforma di Lutero
Martin Lutero (1483-1546), figlio di minatori, studia a Magdeburgo presso i Fratelli della Vita comune, una congregazione laica che seguiva la pratica della «devotio moderna», una corrente spirituale fortemente caratterizzata dal pensiero di sant'Agostino. Tale corrente spirituale affermava la ricerca di Dio mediante la meditazione e la lettura diretta delle Scritture, proponendo l'imitazione di Cristo quale sintesi religiosa della loro proposta.
La concezione religiosa di Lutero, fortemente influenzata dal rigorismo medievale di tale insegnamento, presenta dei tratti tipicamente medievali: Lutero, infatti, è ossessionato dal problema della presenza del male nella vita dell'uomo e sosterrà spesso di aver persino visto il diavolo; pratica esercizi di tipo ascetico, infliggendosi sofferenze e privazioni di ogni tipo, compresi quelli penitenziali (digiuni prolungati, fustigazioni corporali, ecc) allo scopo di mortificare la carne e di rafforzare lo spirito, concezione questa tipica della religiosità medievale. Egli è fortemente convinto che l'uomo rappresenti una nullità al cospetto di Dio e che la natura dell'uomo, intimamente corrotta dal peccato originale, sia del tutto impotente, a causa della sua indole naturale, nel ricercare e desiderare il bene. Da tali convinzioni, fortemente negative nei confronti dell'uomo, Lutero ne consegue che l'intera umanità sarebbe sicuramente destinata alla dannazione eterna, se Dio, nella sua infinita misericordia, per cambiare la natura di alcuni uomini mediante la sua grazia: il suo intervento benefico permetterebbe così che alcuni uomini siano giustificati, non per i loro meriti, ma in virtù dell'intervento divino che li rende da peccatori, degli uomini giusti.
Da tali premesse Lutero fa scaturire una riflessione religiosa e filosofica che si inserisce, a pieno titolo, nel clima di trasformazione rinascimentale, rendendosi interprete di tali esigenze.
Dalla tesi dell'impossibilità dell'uomo di salvarsi con le sue sole forze, Lutero deriva la teoria della giustificazione per fede, in base alla quale la fede è il segno operato dalla grazia divina: affinché l'uomo si possa salvare, quindi, non contano le opere, ma risulta essere determinante l'intervento diretto di Dio. La grazia, infatti, rappresenta una concessione che Dio fa al singolo individuo, stabilendo così un rapporto diretto fra Dio e gli uomini che rende ininfluente l'intermediazione della Chiesa e della gerarchia ecclesiastica. I predestinati, cioè coloro che Dio stesso sceglie di salvare e che vengono trasformati dalla sua grazia, sono quindi dei testimoni di Dio e operano, secondo Lutero, per glorificare Dio con la loro vita.
Lo stesso sacerdozio viene visto da Lutero come un sacramento che la Chiesa avoca a sé abusivamente, in quanto è Dio stesso che, con la sua grazia, sceglie i suoi predestinati, ciò porta Lutero a sconfessare la gerarchia cattolica in quanto non investita direttamente da Dio, ma eletta da uomini privi del beneplacito divino. Tutti gli eletti sono quindi dei sacerdoti, in quanto partecipano di un «sacerdozio universale» e in quanto la loro natura è direttamente giustificata da Dio stesso.
In conseguenza di ciò, Lutero sostiene che, in virtù del fatto che tali eletti sono scelti direttamente da Dio e dal suo spirito illuminati, essi sono quindi in grado di comprendere direttamente la sua parola: concezione questa che egli chiama «libero esame delle Scritture». Si viene così a creare un rapporto diretto tra l'uomo e Dio e Lutero può così contestare sia la funzione mediatrice della Chiesa, e sia l'esistenza stessa della gerarchia ecclesiastica.
Grazie anche allo sviluppo della stampa e alla maggiore diffusione delle idee, la teoria del libero esame di Lutero sposa la causa di quegli intellettuali che chiedevano a gran voce che si realizzassero profondi mutamenti nella cultura ufficiale e nelle modalità con cui essa veniva trasmessa. Tale teoria apre infatti la strada a nuove possibilità di circolazione dei testi e delle idee fino ad allora impensabili: ai manoscritti rari e costosi, che erano privilegio soltanto di pochi, di solito enti religiosi o ricchi privati, ora la maggiore disponibilità di testi e di libri favorisce la produzione di testi scritti in lingua volgare e la diffusione della cultura a strati più vasti di popolazione. La disponibilità di testi facilita anche l'accesso all'alfabetizzazione e porta a considerare il libro, non più come un prezioso cimelio da conservare, ma come strumento di studio e di lavoro. La Riforma, quindi, con la teoria del libero esame delle Scritture, affermando cioè la possibilità e il dovere da parte di tutti i fedeli di accostarsi liberamente ai Testi Sacri e di poterli studiare, favorisce, nei paesi in cui si afferma, sia l'esigenza di alfabetizzazione culturale, sia agevola la stampa e la maggiore diffusione di testi scritti di carattere religioso, ma anche di altri argomenti più quotidiani.
La controversia tra Erasmo e Lutero sulla libertà umana.
Erasmo, in un primo momento, segue la diffusione del luteranesimo senza però prendere una chiara posizione ne contraria, ne favorevole ad esso, pur venendo spesso sollecitato dai papi che si succedono in questo periodo: prima Papa Leone X, nel 1521, poi Adriano VI, l'anno successivo, e infine Clemente VII, nell'aprile del 1524, mentre Erasmo ha già assunto una chiara posizione in merito e sta scrivendo il De libero arbitrio, che sarà pubblicato nello stesso anno, sollecitano Erasmo affinché assuma pubblicamente una posizione chiara nei confronti della teoria di Lutero.
Erasmo coglie, quale argomentazione centrale della teoria luterana, la negazione del libero arbitrio: l'ammissione della libertà umana avrebbe importanti conseguenze sia in campo morale, in merito al problema della responsabilità morale, cioè la possibilità di scelta tra il bene e il male e la conseguente validità o meno delle buone azioni dell'uomo, contro le quali Lutero aveva assunto una posizione di rifiuto radicale, sia in campo religioso dove, l'assoluta negazione della libertà umana, rendeva del tutto ininfluente ogni sforzo da parte dell'uomo di procurarsi la salvezza eterna con o senza la mediazione dei sacramenti amministrati dalla Chiesa cattolica e dalla sua gerarchia.
Inoltre, negare una qualsiasi importanza alla volontà dell'uomo, allontanava il pensiero riformistico dalla centralità che era stata conferita all'uomo dal pensiero umanistico e rinascimentale: la questione del libero arbitrio segna infatti il distacco tra il pensiero, tipico dell'Umanesimo cristiano, di Erasmo e la Riforma luterana che, per altri aspetti, aveva delineato forti punti di convergenza con le esigenze fortemente sentite dell'epoca, sopratutto in merito alla feroce critica alla corruzione della Chiesa cattolica per la sua corruzione e dissolutezza nei costumi e per il bisogno espresso della necessità di un rapporto diretto con Dio da parte dei fedeli, senza alcuna intermediazione da parte della gerarchia ecclesiastica. La stessa teoria del libero esame, che sia Erasmo, che Lutero, avevano fortemente entrambi fortemente sostenuto, era appunto espressione di tale convergenza di opinioni.
Negare il libero arbitrio vanifica, quindi, quella centralità dell'uomo che tanto caratterizza il pensiero filosofico in questo periodo ed Erasmo ne coglie tutte le possibili implicazioni negative all'interno della Riforma luterana.
Ed è proprio per tale motivo che Erasmo scrive il De libero arbitrio, nel 1524, con l'intento dichiarato di dimostrare che la negazione della libertà dell'uomo porterebbe alla negazione conseguente della sua responsabilità morale, vanificando qualunque sforzo di miglioramento dell'uomo sia morale, che religioso. A tal proposito Erasmo, esaminando le prove a favore e contro il libero arbitrio contenute nelle Sacre Scritture, propone che la religione sia fortemente ancorata alla morale e che sia intesa come «imitatio Christi», come imitazione di Cristo, svincolando la fede religiosa da tutti quegli aspetti dottrinari e dogmatici che la rendono esterna all'uomo e che allontanano questo dalla quotidiana esperienza concreta di fede vissuta.
Le posizioni ideologiche di Erasmo e di Lutero si diversificavano inoltre per la loro diversa concezione della natura umana: per Erasmo la natura umana, benché corrotta dal peccato originale, è fondamentalmente buona e incline al bene per cui, pur non potendo giungere alla perfezione, anche l'uomo privo di fede religiosa può salvarsi se adotta dei comportamenti buoni che seguano la legge naturale che non è in contrasto con la fede. Erasmo considera infatti il peccato originale come un indebolimento dell'uomo, non una sua trasformazione, che non muta la sua inclinazione verso il bene, ma che gli impedisce di oltrepassare certi limiti: colui che non crede, infatti, seguendo la legge naturale può applicare la legge di reciprocità che afferma di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a lui, ma non giunge a concepire l'amore per i propri nemici, che è peculiare del messaggio cristiano; per Lutero, invece, il peccato originale corrompe e trasforma la natura umana, rendendo l'uomo incapace di fare il bene e orientandola verso il male, così che solo l'intervento divino può convertirlo e farlo ritornare buono.
Dopo aver preso posizione a favore del libero arbitrio, Erasmo esamina quindi le Scritture, sostenendo che la maggior parte dei passi in esse contenute sull'argomento, sarebbero nettamente a favore della libertà dell'uomo, mentre quei pochi passaggi che, a prima vista, sembrerebbero negarla, afferma che devono essere interpretati quali concessioni alla mentalità dell'epoca in cui sono stati scritti, visto che le Scritture, in quanto ispirate da Dio stesso, non possono essere tra loro contraddittorie: le stesse citazioni, tratte dagli scritti di san Paolo, a cui Lutero si era ispirato per sostenere che il libero arbitrio non esiste, affermando quindi la centralità della fede e l'inutilità delle azioni umane, secondo Erasmo erano state da Lutero mal interpretate in quanto affermerebbero la centralità dell'uomo nel progetto di salvezza di Dio.
Tuttavia Erasmo riconosce anche alcuni aspetti positivi nelle argomentazioni di Lutero: sia la vendita delle indulgenze da parte della Chiesa e sia l'impossibilità che l'uomo possa salvarsi da solo soltanto tramite le proprie azioni, in quanto ciò significherebbe la sua piena autosufficienza e, secondo Lutero, limiterebbe anche l'onnipotenza divina, portando l'uomo a commettere peccato di orgoglio e di superbia, rendendo inutile il sacrificio di Cristo.
Erasmo quindi conclude affermando che, se pure l'uomo non possa essere totalmente buono per sua natura, la teoria luterana rappresenta un pericolo ancora più minaccioso per il cristianesimo.
Lutero risponderà ad Erasmo scrivendo un lungo saggio, intitolato De servo arbitrio, che verrà pubblicato nel 1525. Alle tesi di Erasmo, basate sulla ragione, Lutero risponde con argomenti tratti dalle Sacre Scritture e con altri inerenti sia la natura umana, sia quella divina: egli sostiene che, se l'uomo fosse libero, allora Dio non sarebbe onnipotente, in quanto Dio non avrebbe più l'assoluto controllo sulla realtà e sulle vite degli uomini.
Tutto quindi deve accadere secondo necessità, in quanto tutto è determinato dal volere divino e dal suo disegno di salvezza che esiste sin da prima della creazione del mondo e dell'uomo: tale disegno non potrebbe realizzarsi compiutamente se fosse continuamente ostacolato o influenzato dal libero volere umano e dalle vicende che ne conseguono.
Se le obiezioni di Erasmo non riguardavano tanto il piano teologico, ma quello morale, tese a preservare il libero arbitrio e quindi la responsabilità morale dell'uomo di fronte alle proprie azioni, Lutero invece riconduce la questione al rapporto tra l'uomo e Dio, sostenendo che la distanza tra le due nature è così grande, che qualsiasi peccato, per quanto piccolo esso possa essere, finirebbe col condannare l'uomo.
La posizione ideologica, assunta da Lutero, si contrappone così a tutta la tradizione umanistica che aveva fatto della possibilità di scelta dell'uomo l'aspetto essenziale e centrale del proprio pensiero: per filosofi umanisti come Cusano, Ficino e Pico, la natura dell'uomo è intermedia tra gli animali e la materia da un lato, la copula mundi, e Dio e le nature angeliche dall'altro, ed è compito dell'uomo scegliere se indirizzare la propria volontà ai primi, degradandosi al livello degli animali, o scegliere di innalzarsi al livello degli angeli. Per Pico tale libertà dell'uomo lo renderebbe superiore agli angeli stessi che, in quanto naturalmente inclinati al bene, non possono volgersi al male, e non avrebbero alcun merito per le loro buone azioni, in quanto esseri univocamente determinati; l'uomo, invece, proprio grazie alla sua libertà morale, è il vero artefice del proprio destino, homo faber fortuna sue, e capace quindi di determinare liberamente la propria natura in un senso o nell'altro, accettando i meriti o i demeriti sulle basi della propria scelta morale responsabile.
Calvino e la Riforma.
L'eredità di Lutero viene raccolta e sviluppata in modo originale da Giovanni Calvino: nato a Noyon, in Francia, nel 1509, studia a Parigi dove si avvicina alla Riforma luterana intorno al 1530.
Nel 1533 deve lasciare la città per sfuggire le persecuzioni e si rifugia in Svizzera, nella città di Basilea. Qui Calvino matura una sua idea di riforma che porta a compimento nel 1536, quando pubblica la sua opera intitolata «Istituzione della religione cristiana».
Nello stesso anno in cui esce la sua opera, Calvino si trasferisce a Ginevra dove inizia ad applicare le sue idee sulla Riforma ad una situazione politica concreta.
Con le «Ordinanze ecclesiastiche» del 1541, Calvino organizza la propria Chiesa secondo le sue idee riformate e tale organizzazione finisce per coinvolgere anche la struttura politica della stessa città di Ginevra, rendendola una città-chiesa rigidamente confessionale, dove la dottrina calvinista diviene la religione ufficiale della città o, come la chiamerà Calvino, «una repubblica di santi».
Pur essendo organizzata al suo interno secondo un regime democratico, ben presto si assiste a Ginevra al verificarsi di un doppio flusso migratorio: i cattolici ginevrini abbandonano Ginevra onde sfuggire alle persecuzioni religiose dei calvinisti, mentre i seguaci della nuova dottrina affluiscono da tutte le parti d'Europa per seguire entusiasticamente le nuove idee riformiste.
Pur democratica, Ginevra assume quasi subito infatti un atteggiamento fortemente intollerante e censorio nei confronti di chi non aderisce alla dottrina calvinista, reprimendo duramente ogni forma di eresia: un chiaro esempio di ciò si ha con la condanna del medico spagnolo Michele Serveto, accusato di aver assunto e divulgato dottrine contro l'esistenza della trinità divina, e condannato per ciò a morire sul rogo come eretico. Tutta la vita pubblica della città ginevrina viene organizzata sull'impronta della morale calvinista: vengono proibiti i banchetti e le feste, il lusso degli abiti e dei gioielli, chiusi gli spettacoli teatrali e i luoghi di divertimento.
Da Ginevra le idee del nuovo movimento riformista si diffondono velocemente in Francia, Olanda e Inghilterra, raggiungendo persino le colonie americane del Nuovo Mondo, grazie anche all'idea portante di cui si fa portavoce: quell'etica del capitalismo che spinge gli individui ad essere intraprendenti e a darsi da fare per migliorare la propria condizione, senza aspettare aiuti esterni o agevolazioni, che esprime al meglio il concetto di homo faber, fondamentale di tale epoca.
Dal punto di vista dottrinario, Calvino esprime un estremismo ideologico ancora più avanzato rispetto alle stesse idee luterane: Dio è l'unico essere necessario che permette non soltanto l'esistenza degli altri esseri con la creazione, ma il cui intervento continuo e attuale ne garantisce in seguito la sopravvivenza, in quanto tutte le creature non hanno l'essere in sé, ma lo ricevono da Dio.
Tutto, quindi, secondo Calvino, è regolato da Dio ed obbedisce alla sua volontà. Anche Calvino è concorde con Lutero nell'affermare che, se Dio non esercitasse il pieno controllo sugli eventi umani, la sua onnipotenza ne risulterebbe limitata e compromessa. Tale determinismo di Calvino, per cui se anche un solo evento della vita umana sfuggisse al controllo divino, ne minerebbe l'assoluta libertà di poter decidere e pianificare il destino di ogni singolo essere da lui creato, porta Calvino a parlare di «doppia predestinazione»: se Lutero si era limitato ad affermare che Dio giustifica i suoi eletti, per cui gli altri seguono il loro destino di dannazione eterna, Calvino sostiene, invece, che Dio sceglie non soltanto chi si salverà, ma anche chi sarà condannato, in quanto nulla può avvenire al di fuori della sua volontà.
La teoria della doppia predestinazione, però, non sconfina in un necessario atteggiamento fatalistico da parte dell'uomo e non esclude il suo impegno morale: se è vero che l'uomo non può decidere di credere, così come non può decidere di fare il bene, la fede e le opere buone rappresentano però un segno dell'elezione divina, pertanto è compito di ogni uomo quello di riprodurre nella propria vita tali segni di scelta divina. Calvino parla, a tale proposito, di “vocazione”: coloro che, infatti, hanno ricevuto la chiamata divina alla salvezza, che sono stati scelti da Dio quali strumenti per realizzare il suo piano di salvezza, avvertono chiaramente dentro di sé tale certezza e ne trovano la conferma nel successo che segue ad ogni loro azione o iniziativa intrapresa nel mondo, nel ruolo che ricoprono all'interno della loro società e nel successo della loro attività lavorativa: Dio, dice Calvino, benedice con la sua grazia l'attività dei suoi eletti, garantendo loro posti di rilievo ed efficacia nelle azioni rispetto agli altri uomini. In seguito anche il successo economico verrà visto dai calvinisti quale segno di elezione divina, anche se Calvino tende a sottolineare il ruolo di missione dell'uomo, il fatto di essere socialmente apprezzati e di svolgere nella società un ruolo positivo e determinante, e di distinguersi dagli altri uomini per la professionalità nello svolgere il proprio lavoro.
Il messaggio dirompente di Calvino, diffondendosi nelle nazioni più fortemente sviluppate dal punto di vista economico, reca con sé una forte carica di innovazione e si fonde con le istanze liberali della nascente borghesia che si sta via via sviluppando proprio in quest'epoca: calvinisti saranno i puritani inglesi che giocheranno un ruolo di primo piano nelle due rivoluzioni del Seicento, così come calvinisti sono gli olandesi che lotteranno per la propria indipendenza dalla Spagna, costituendo la Repubblica delle Sette Province Unite, e ancora calvinista sarà la cultura imperante delle colonie che, nel Settecento, costituiranno gli Stati Uniti d'America.