Lezione 22 - Hume 2: La morale del sentimento.
Classi 4° A/B/C Linguistico - Lez. 22
Hume: la morale del sentimento.
Hume segue anche in ambito morale gli stessi presupposti su cui aveva sviluppato la sua teoria della conoscenza, affermando che il proprio intento non é quello di individuare norme prescrittive di comportamento che siano universalmente valide, ma bensì di descrivere come gli uomini si comportano e quali siano gli interessi che li spingono ad agire in un dato modo: Hume, quindi, non propone delle regole da seguire, sotto forma di leggi e di principi che obbligano ogni uomo a comportarsi in un certo modo, ma cerca di descrivere, senza giudicare, quali siano le cause in grado di spiegare le scelte di comportamento di ogni uomo nella vita quotidiana. Si tratta, quindi, di una morale che non può vincolare la libera scelta e che non può vantare alcuna pretesa razionale per essere legittimata. Nel suo saggio, intitolato Ricerca sui principi della morale, Hume vuole, partendo dall'esperienza, applicare ancora una volta la conoscenza della natura umana anche in riferimento alla morale. Egli sottolinea come, spesso, il giudizio circa la bontà o malvagità di un'azione venga espresso in riferimento all'utilità pubblica o meno dell'azione che viene commessa: se risulterà utile alla società verrà giudicata come buona, se sarà giudicata dannosa allora sarà definita cattiva. Hume ipotizza che i condizionamenti educativi che vengono attivati sui comportamenti dei bambini si trasformino, con l'andare del tempo, in abitudini consolidate e poi in certezze che non vengono mai sottoposte a dubbio una volta che gli individui diventano adulti: l'educazione influenzerebbe in modo importante le diverse modalità di pensiero e di giudizio di ogni individuo.
Tuttavia Hume prosegue dicendo che l'influsso dell'educazione, sicuramente forte, non può spiegare in modo soddisfacente la nostra capacità di mostrare apprezzamento o avversione verso oggetti e comportamenti: egli ipotizza, quindi, che debba esistere nella natura umana un qualche fattore responsabile di tali capacità. Così come la credenza non ha nessun fondamento razionale, ma é riconducibile al sentimento, allo stesso modo sostiene che avvenga anche per la morale e che per questo motivo essa trovi il proprio fondamento sul sentimento, facoltà umana presente universalmente in ciascun individuo e che tutti sono in grado di riconoscere quale linguaggio universale. Hume, all'interno del terzo libro del suo Trattato sulla natura umana, si pone il problema se la morale possa essere controllata e influenzata dalla ragione, permettendo all'individuo di poter esprimere giudizi universali che possano essere dichiarati veri o falsi, permettendo così l'applicazione di norme morali razionali e valide universalmente e non soggettive e relative in quanto riferite alle peculiari esperienze, diverse in ogni individuo.
Hume, però, precisa circa l'impossibilità di poter formulare giudizi di qualsiasi natura che abbiano pretesa di verità o di falsità: i giudizi morali non sono riferibili alla ragione umana perché sono riferiti alle materie di fatto e non alle idee e alle loro relazioni, cioè a contenuti di esperienza che non hanno alcuna rilevanza morale: la morale non é nell'azione, ma nella reazione che suscita nel soggetto che la giudica: la moralità é quindi un sentimento, non un dato di fatto o un oggetto della ragione. La morale per Hume, quindi, é strettamente collegata al sentimento e alla natura umana, visto che tutti gli uomini provano sentimenti simili in circostanze simili. Non esistono dunque fatti che siano per sé stessi morali o immorali, essi possono essere soltanto descritti o spiegati, ma non oggetto di giudizi di valutazione.
Tali premesse avranno talmente seguito nella filosofia successiva che verranno chiamate legge di Hume: tale legge afferma che non é possibile derivare delle norme da dei fatti, cioè essa intende dire che non é assolutamente possibile fondare un'etica normativa, in grado di stabilire che cosa é bene o sia giusto fare, e allo stesso tempo esclude l'esistenza di principi razionali in ambito etico.
Secondo Hume la morale é un sentimento che l'uomo prova in relazione ai fatti, paragonabile alle impressioni che derivano dalle percezioni: l'impressione che deriva dalle azioni virtuose é gradevole e per questo motivo noi le riteniamo tali.
Secondo Hume noi tendiamo a giudicare virtuosa o viziosa un'azione a seconda che la sua vista provochi in noi sentimenti di piacere o di dolore. Hume assume che i principi o le norme della morale sono soltanto delle costruzioni teoriche che noi utilizziamo per giustificare il piacere o l'avversione spontanei verso le azioni che osserviamo: noi sentiamo, senza alcuna riflessione razionale, che un comportamento é giusto o sbagliato, e soltanto dopo motiviamo questa reazione naturale con delle giustificazioni razionali: questo non significa che é virtuoso ciò che piace e malvagio ciò che non ci piace, ma che la natura umana possiede, grazie al sentimento, la capacità di distinguere il bene e il male senza far riferimento alla ragione.
Anche per quanto riguarda la società, Hume individua nel sentimento il suo fondamento, in quanto la morale sociale é finalizzata all'utilità comune, anche se non esistono principi universali o leggi in grado di vincolare l'agire sociale: se le leggi in uno Stato esistono per garantire l'utile di tutti, tuttavia la morale sociale richiede un'adesione personale ai principi, un sentire la loro positività.
Se Hume riconosce che lo scopo dell'agire morale é l'utile e l'interesse personale, tuttavia sostiene che l'uomo prova anche un naturale sentimento di simpatia verso gli altri uomini, la capacità di provare reazioni simili agli altri uomini, di sentire con, dinanzi agli stessi eventi.
L'universalità della morale si fonda per Hume sulla simpatia e, grazie alla comune natura umana che assume le stesse caratteristiche in tutti gli uomini, tutti gli uomini condividono le stesse reazioni verso gli stessi eventi. Il fatto che tutti gli uomini provino sentimenti simili consente a ognuno di capire e di provare quelli degli altri: Hume sostiene che dalle nostre espressioni esterne possiamo risalire ai sentimenti vissuti dall’altro, in quanto sono simili a quelli che anche noi associamo alle stesse espressioni. La simpatia implica anche un orientamento positivo verso la società: l’uomo infatti, secondo Hume, tende per natura a cercare gli altri e modella il proprio comportamento sulla base di attese comuni, provando un sentimento di piacere nell’essere approvato e accettato e considerando buone le azioni che giovano al benessere della società.
Mentre nel Trattato l’analisi della morale riguarda soprattutto le diverse passioni naturali, la dimensione sociale della simpatia riveste un ruolo centrale nella Ricerca sui principi della morale. In questo saggio, Hume prende in esame le teorie che riducono ogni sentimento sociale all’interesse personale. Sulla base di osservazioni empiriche, Hume sostiene che nell’uomo, accanto all’egoismo, è presente una simpatia naturale verso gli altri uomini, intesa come un sentire comune, ma anche come spontanea benevolenza, senza di ciò molti comportamenti umani risulterebbero incomprensibili. Hume sostiene quindi che il fondamento dell’azione individuale sia l’utilità, ma non dell’utilità personale. Tutto ciò che viene ritenuto utile alla società, suscita in noi sentimenti favorevoli e la definiamo virtù, anche quando danneggia il nostro interesse personale. Ecco perché Hume distingue la morale dall’utilità: mentre la prima si fonda sul sentimento, la seconda si fonda sul calcolo. Hume stesso afferma che noi tendiamo ad ammirare un politico onesto che ostacoli i nostri progetti, mentre disprezziamo un politico corrotto che ci può aiutare.
L’estetica.
Come conseguenza della filosofia morale, Hume affronta l’analisi del rapporto tra bene e bello, cioè tra il giudizio morale e il giudizio estetico.
Hume fa esplicito riferimento alla poesia, sottolineando che i poeti creano con la loro arte un mondo che non corrisponde né al mondo dei fatti, ne al mondo delle idee, ma che non può nemmeno essere definito come frutto di pura fantasia o immaginazione. Hume afferma che, anche se gli avvenimenti e le persone rappresentate dai poeti non sono reali, tuttavia essi suscitano in noi delle emozioni.
Nel suo saggio del 1757, intitolato La regola del gusto, Hume si pone il problema sull’origine del bello, sostenendo che si tratta di un giudizio totalmente soggettivo.
Hume critica la tendenza dei filosofi a lui precedenti che hanno analizzato l’oggetto e la sua bellezza, piuttosto che prestare attenzione allo spirito umano: egli afferma chiaramente che è proprio della natura umana considerare alcune qualità piacevoli e altre spiacevoli e, quando ciò non avviene, é perché cerchiamo risposte in coloro che non sono in grado di offrirle: un individuo affetto da febbre non é in grado di esprimere un giudizio sui sapori, così come un daltonico non può esprimere giudizi sui colori. In tal modo Hume rapporta il giudizio estetico allo stato particolare di un individuo. Tuttavia anche Hume riconosce l’importanza dell’esperienza come indice che permette di sviluppare la capacità di apprezzare la bellezza. Tutto ciò però non impedisce di far riferimento ancora una volta all’esperienza: essa funge da guida, indicando ciò che é stato considerato bello nei vari paesi e nelle varie epoche che possono fornire delle regole che, per quanto non universali, non sono però totalmente soggettive. Hume conclude l’analisi sul bello definendo la capacità di percepire il bello come delicatezza del gusto: soltanto l’educazione e l’esperienza sono per il filosofo la strada ideale per affinare tale capacità.
La politica.
Hume non propone una vera teoria politica, ma se ne occupa nelle sue opere principali. In modo coerente con le posizioni precedenti, sia conoscitive, sia morali ed estetiche, Hume sostiene che i principi della politica non possono essere dedotti da teorie generali, ma devono essere ricavati col metodo induttivo, mediante l’esperienza. E’ necessario quindi partire dall’analisi della società, condotta in modo rigoroso, per giungere a delle generalizzazioni.Neppure la politica, così come la morale e la religione, può essere dedotta da principi universali e per tale motivo egli critica il giusnaturalismo che sosteneva di poter derivare i diritti naturali dell’uomo dalla sua natura razionale, come aveva appunto rivendicato Locke, facendo uso di un’ipotesi non dimostrata e che precede l’osservazione. Mentre, invece, Hume si dice concorde con Locke sulla natura umana: anche per lui l’uomo é fondamentalmente buono e la stessa organizzazione politica é determinata dal bisogno di evitare che gli egoismi soggettivi abbiano il sopravvento sul naturale sentimento altruistico. Ecco perché Hume rifiuta l’idea di un qualsiasi patto tra gli uomini, o contratto sociale, da cui far derivare i diritti e i doveri di ogni uomo. Hume, a differenza di Locke, afferma che, prima che gli uomini si organizzino in società, essi godono non soltanto di diritti naturali, ma anche di doveri, che spingono gli uomini a sviluppare un vincolo spontaneo di solidarietà.
Hume distingue i doveri in due tipologie:
- i doveri che scaturiscono spontaneamente dalla natura umana, come l’amore verso i figli, la gratitudine e la pietà;
- i doveri stabiliti per il bene della società e che devono essere osservati anche contro la volontà dei singoli individui, come la giustizia e il mantenere la parola data.
Questi doveri sociali nascono per convenzione e non sono propri della natura umana e vengono fatti rispettare mediante l’educazione e la coercizione: il loro scopo é quello di conservare la pace e di garantire il godimento della proprietà privata. Per Hume, pur essendo importante, la proprietà privata non é un diritto naturale.
Hume propone una teoria convenzionale dell’origine della società che contrappone alla teoria del contratto sociale di Locke. Hume sostiene che la giustizia e il diritto derivino appunto dalla convenzione, così come la proprietà. La condizione naturale, secondo Hume, é autofondata, ha in sé diritti e doveri che le permetterebbero di esistere anche senza la nascita di una società: compito della società sarebbe infatti quello di permettere agli uomini di ridurre i rischi di conflitti in nome dell’utile comune. Se la convenzione é utile dal punto di vista sociale, non é però moralmente neutra: attraverso l’educazione e il costume, viene sviluppato negli individui un sentimento positivo dinanzi alle azioni giuste, anche se lontane da loro, e un sentimento negativo verso le azioni che vengono percepite come ingiuste. Questi sentimenti, secondo Hume, non sono naturali, ma vengono indotti dalla società per propria difesa e diventano, nel corso del tempo, altrettanto radicati dei diritti naturali. Lo Stato per Hume nasce anch’esso per convenzione e non per contratto, fondato sui sentimenti naturali e sulla giustizia: in teoria Hume sostiene che lo Stato non sarebbe necessario in quanto gli uomini nutrono per natura sentimenti positivi nei confronti degli altri e l’utile individuale coincide con il bene comune. Tuttavia, dal punto di vista morale, l’utile immediato e individuale rischia di apparire all’individuo più importante rispetto a quello collettivo, anche se quello collettivo risulta essere più proficuo rispetto all’interesse egoistico del singolo stesso. Hume sostiene quindi che, per correggere tale errore, l’utile collettivo deve diventare di immediato interesse per l’individuo. Per questo motivo si rende necessario il potere politico, gestito da persone che occupano posti di comando grazie al rispetto delle leggi e che sono in grado di ottenere tale rispetto da parte di tutti gli altri cittadini.
La religione.
Le concezioni empiriste di Hume lo portano ad assumere una posizione scettica in ambito religioso. Nei Dialoghi sulla religione naturale, Hume critica ogni pretesa da parte dell’uomo di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio.
Hume demolisce, innanzitutto, il deismo, cioè la concezione tipicamente illuminista di ipotizzare l’esistenza di un creatore intelligente dalla perfezione della natura e di dimostrarne l’esistenza mediante la ragione. Filone, il principale personaggio dei dialoghi e che rappresenta lo stesso Hume, sottolinea come quest’errore sia dovuto ad un ragionamento per analogia tra i manufatti umani (navi, case, ecc.) e gli artigiani che li hanno costruiti. Hume afferma che non siamo autorizzati dal passare dall’ambito delle cose artificiali a quelle naturali, attribuendo loro delle cause dello stesso tipo. Tale pretesa risulta essere irrazionale, in quanto significherebbe oltrepassare l’esperienza che é anche il limite e l’ambito della conoscenza umana. Inoltre Hume prosegue dicendo che poiché il mondo non é perfetto, allora anche il suo Creatore sarebbe imperfetto; inoltre la presenza del male nel mondo ci porterebbe a ritenerne Dio quale causa. Nello stesso dialogo Hume, per bocca di Filone, dimostra l’irragionevolezza dell’argomento tradizionale usato come prova dell’esistenza di Dio: se il mondo ha una causa, risalendo di causa in causa, bisognerebbe ammettere una causa incausata, Dio appunto. Hume richiama la distinzione tra relazioni di idee e questioni di fatto per giungere alla conclusione che non possiamo razionalmente passare da cause che rientrano nell’esperienza a supporre l’esistenza di cause che esulano da essa.
Nonostante non possiamo dimostrare in alcun modo l’esistenza di Dio, tuttavia non si può negare che il sentimento religioso esista e che sia un importante componente della natura umana, motivo per cui é necessario studiarne sia l’origine, che le manifestazioni. Hume non vuole esprimersi in materia di religione, cioè affermare o negare l’esistenza di Dio, quanto di analizzare i caratteri assunti dalla religione in relazione alle caratteristiche della natura umana.
Hume riconduce l’origine del sentimento religioso al senso di precarietà dell’esistenza umana, esprimendo sentimenti di timore e di speranza, nel tentativo di esercitare una qualsivoglia forma di controllo sulla propria esistenza. Compito della religione é dunque quello, secondo Hume, di permettere all’uomo di superare le incertezze dell’esistenza, di garantirsi una sicurezza contro la precarietà della vita: la religione quindi avrebbe un carattere eminentemente pratico e non teoretico.
Hume sostiene quindi che la religione non rappresenti per l’uomo il tentativo di dare risposte ai fatti naturali che egli non riesce a comprendere, quanto la risposta ai suoi problemi esistenziali concreti.
Nella sua opera, intitolata Storia naturale della religione, Hume descrive il passaggio dalle religioni politeiste a quelle monoteiste, fatto che spiega con il bisogno umano di rafforzare la propria sicurezza unificando la divinità e attribuendole attributi infiniti. Hume critica alcuni dogmi cattolici e condivide l’identificazione tra religiosità e superstizione, tipica dell’Illuminismo, ma affronta sopratutto le conseguenze sociali delle diverse fedi, sopratutto in relazione alla tolleranza e alle persecuzioni. Hume sottolinea come le religioni monoteiste reprimono ogni dissenso al loro interno e rifiutano ogni forma di pluralismo religioso. Secondo Hume l’unica forma di religiosità accettabile é il deismo che non può avere fondamento razionale, ma produce il massimo della tolleranza, in quanto considera tutte le religioni positive come equivalenti.
L’atteggiamento di Hume rimane comunque scettico: la religione non può comunque essere conosciuta dall’intelletto, può solamente essere oggetto di fede. Hume afferma che é preferibile la posizione del credente in quanto assegna alla fede un ruolo di primo piano, rispetto al filosofo che pretende di dimostrare l’esistenza di Dio e di analizzarne la natura. Hume definisce quindi la religione come verità rivelata, cioè non dimostrabile, che può essere affermata soltanto sulla base della fede e conclude affermando che questo é l’unico ambito in cui può essere collocata la religione.